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L’AUTONOMIA È UNA SECESSIONE SOCIOLOGICA

L’AUTONOMIA È UNA SECESSIONE SOCIOLOGICA

di Gianluca Budano, membro del Direttivo Nazionale del Forum Famiglie e Consigliere Presidenza nazionale ACLI

Autonomia differenziata o regionalismo a più velocità che dir si voglia, un argomento così importante per gli effetti concreti che può avere sulla pelle dei cittadini che merita la giusta attenzione nel dibattito politico, che non può ridursi alla logica maggioranza/opposizione o tifosi/detrattori di un processo comunque riformista. Si è parlato, non a torto, di secessione dei ricchi, intendendo con essa la spinta “egoistica” di alcune aree del Paese, favorite rispetto ad altre dagli effetti redistributivi della riforma. Senza voler essere fuori dal coro di un dibattito, tutto centrato sul concetto di secessione, una banale valutazione porta però a fare una riflessione ulteriore e prodomica.
Se proprio di secessione dobbiamo parlare, questa è già in atto.

 

E’ la secessione non geografica, ma sociologica, tra individui e famiglie ricche e individui e famiglie povere, tra chi vede realmente soddisfatto il proprio diritto ad istruirsi e a costruire la propria prospettiva futura di realizzazione e chi no, tra chi vede soddisfatto il proprio diritto alla salute e alle prestazioni sociali e chi vive la povertà sanitaria che diminuisce non la propria tasca, ma la propria speranza di vita. Negli ultimi anni la povertà, in particolare quella assoluta, ha ricevuto una notevole attenzione da parte dei media e dei policymakers, dovuta soprattutto alla profonda crisi economica e alla concomitante assenza di una misura strutturale universale adatta ad affievolirne gli effetti negativi sulla popolazione; al contrario la disuguaglianza, fenomeno certamente collegato alle povertà, ma sostanzialmente differente, ha ricevuto minore considerazione. In Italia i bambini che si trovano in condizione di povertà assoluta sono 1 milione 208 mila, il 12,1% dei minorenni italiani.
Il senso d’ingiustizia, ormai molto diffuso tra i cittadini italiani, trova delle robuste conferme empiriche anche in altre dimensioni dell’agire sociale diverse da quelle economiche. Negli ultimi anni si registra un indebolimento di alcuni diritti universali. In particolare, preoccupa la difficoltà di accesso ai servizi sanitari gratuiti, che ha generato un aumento della spesa delle famiglie italiane costrette a rivolgersi a strutture private.(Osservatorio del welfare familiare, 2017).
Ma a che riforma regionalista possiamo pensare, fino a quando bambini e salute, sono oggetto di macroscopiche disuguaglianze da nord a sud? Con questo quadro, non sarebbe forse il caso di concentrarci sul tema delle disuguaglianze sociali, che in ogni parte del Paese, se pur con proporzioni diverse, tocca tutti i cittadini? Che Paese è il nostro se nel 2019 e nella società della conoscenza, non consente ancora a tutti i bambini e gli adolescenti di avere i libri di testo per studiare allo stesso modo, ricchi e poveri, estendendo ad esempio la collaudatissima cedola libraia a tutti gli alunni, senza distinzione di reddito, fino ad almeno l’assolvimento dell’obbligo scolastico? Perché non garantire almeno la neutralizzazione delle disuguaglianze nel luogo principe dell’integrazione sociale che è la scuola? Del resto la povertà minorile (ed educativa) non è sempre legata alla povertà del nucleo famigliare (si pensi alla famiglia benestante che vede nel proprio nucleo un genitore ludopatico che dilapida le proprie risorse economiche e non si cura delle prioritarie spese dei propri figli). Vogliamo sottrarre almeno i bambini (e il tema della salute) che sono oggettivamente il futuro di una società a ogni tipo di egoismo prima sociale e poi geografico? Vogliamo prima di ogni riforma, liberare il nostro Paese dalle vergognose disuguaglianze che lo attanagliano?